“La collina dei sogni” di Francesco Restuccia
Una scrittura alla vecchia maniera
“A Pasquale, con grande affetto. Ciccio”, è scritto.
Sul retro della prima di copertina del libro La collina dei sogni con segno incerto, ma preciso e deciso, è scritto questo breve pensiero-dedica vergato in sua casa da Francesco Restuccia.
Chi è Francesco Restuccia, a Tropea, tutti lo sanno. Tutti lo conoscono.
Uomo di sani e integri principi morali, educatore di molte generazioni di giovani alle scuole elementari, è il maestro che ha speso per intero la sua vita all’insegnamento, alla comunicazione, all’impegno politico. Nato a Joppolo (VV) il 25 gennaio 1924, vive a Tropea, la sua seconda patria, circondato da affetto, stima, riconoscenza.
Finite per me le fatiche, si fa per dire, del Premio Internazionale di Poesia “Tropea: Onde Mediterranee” con la manifestazione di premiazione dei poeti vincitori della XI edizione 2014 nell’affascinante Chiesa della Michelizia, sento uno squillo lungo di telefono. Rispondo. “Pasquale… Come stai?…”. Riconosco subito la voce. “Professore…”. “Ma che professore e professore…”, si schermisce, “Sono un umile maestro…”. La conversazione continua.
“Sono un umile maestro…”: in questa breve frase c’è tutta la grandezza dell’uomo che ha sempre aborrito l’alterigia e la superbia, che ha sempre rifuggito da onori e gloria, che ha sempre vissuto con umiltà e con dignitosa riservatezza, lui che di questa comunità è stato parte integrante, ricercato e stimato. Decido di andare a trovarlo.
Il “professore”, così lo chiamo io con rispetto anche se lui non vuole, mi viene incontro sulla porta di casa sua, alto, massiccio nella sua persona, ben rasato e roseo in faccia, curato nel vestire, con l’eterno suo sorriso sulle labbra e gli occhi penetranti da intellettuale. Si appoggia al bastone. Mi sovviene subito il Ciccio Restuccia durante la solita passeggiata della sera sul corso di Tropea o seduto in piazza al bar a leggere i giornali, a parlare, a discutere di politica. Di politica… La foto appesa alla parete del suo studio pieno di libri me lo fa vedere giovane, vestito da militare. “La guerra…”, mi dice e mi racconta di come la guerra è passata anche su di lui arruolato nel Terzo Reggimento Granatieri di Viterbo (maggio 1943), della sua partecipazione poi alla guerra partigiana. Il giornale aperto sul tavolo mi ricorda il giornalista degli anni Sessanta/Settanta che scriveva di sport e di cronaca sui giornali più diffusi in quegli anni (Il Messaggero, La Gazzetta del Sud, Il Giornale di Calabria), che a sera trasmetteva a voce per telefono il pezzo per il giorno dopo, o, addirittura, se la notizia era importante, correva con la macchina fino a Catanzaro a portarlo a mano in redazione (era anche corrispondente dell’ANSA).
“Guarda qua…”, mi mostra un articolo sul Premio di poesia. Non è suo, altri scrivono oggi sui giornali. Allungo lo sguardo sulla pagina spaziandolo intorno nella cameretta illuminata dal sole che dà luce ai titoli dei libri, anche dei suoi libri, e lo fermo su una targa posta su una mensola in bella vista. Mi commuovo, ma non lo faccio vedere. Riprendo il discorso. Al “professore”, però, non era sfuggito il viaggio del mio sguardo. Mi parla dei libri. Poi: “La targa…”. Era la targa che anni prima, nel 2009, avevo consegnato al maestro come piccolo segno di riconoscenza per aver dato onore e lustro alla nostra città con la sua opera di scrittore, di poeta, di intellettuale.
Sì, perché Francesco Restuccia, oltre ad essere stato insegnante elementare, giornalista e uomo politico appassionato (era, insieme a Francesco Felice D’Agostino, Franco De Lorenzo, Egidio Repice, Francesco Rotolo e altri, l’anima del Partito Socialista Italiano a Tropea) ha pubblicato libri di poesia e di narrativa, fra cui: Raccolta di poesie, Raccolta di liriche, Terra mia (poesie); Cecco il difficile, Calabria eterna, La moglie dell’onorevole, Racconti senza pretese, La collina dei sogni, (narrativa) e una Guida turistica di Tropea e dintorni quando è stato presidente della neonata Pro Loco di Tropea. Ricordi di nonno Ciccio, invece, in dattiloscritto, è inedito e ricorda il Francesco Restuccia durante la guerra dal dicembre 1942 al dicembre 1945. In tutte le sue opere accanto al lato umano adombrato da motivi autobiografici irrompe fortemente un intenso amore filiale per la nostra meravigliosa e contraddittoria terra di Calabria, vista nei suoi aspetti paesaggistici e animata dagli uomini che in essa ci vivono e ci lavorano.
Il mio sguardo insiste sui libri, numerosi e tanti.
Si alza il “professore” col peso di tutta la sua persona e l’occhio gli si illumina di cultura. Prende un libro e me lo dona. “Questo di sicuro non ce l’hai…”, mi dice soddisfatto. Parla poco, il “professore”. Più che la bocca e le labbra fa parlare il pensiero e il cuore, e la penna che lo rende vivo e presente. Mi legge una poesia fresca d’inchiostro vergata alla vecchia maniera con penna su un foglio. Ascolto: è la vita e la terra che racconta. Poi, passando ad altro discorso, o forse a quello di prima: “Leggilo…”, si riferisce al libro. “Poi mi dirai…”. La collina dei sogni, prometto, saluto. Mi accompagna con la sua gentilezza, e il bastone che non lascia mai, fin sulla porta. Saluto ancora. “Vieni quando vuoi, io sono qua…”, sottolineando con ironia e un po’ di tristezza nascosta la mancanza della passeggiata sul corso, la seduta al bar con gli amici, la chiacchierata domenicale. “Io sono qua…” . L’uomo è quello di una volta, quello di sempre; mite, gentile, buono: un amico. E amico dell’aria, del sole, del mare: della Libertà.
La collina dei sogni.
Su La collina dei sogni ci sono andato passo passo, con passo lento, soffermandomi ad ogni passo. E ad ogni passo tornavo un passo indietro, sul passo della memoria. Di quando anche io, ragazzo, salivo sulla collina, la collina dei nonni, ‘I Petti d’u Colonnellu, e sognavo. Anche io sognavo, come ha sognato l’Autore per amore di questa terra e della gente di questa terra, aspra, scoscesa, fra cielo e mare, da percorrere solo da collina a collina a tiro di voce, da monte a monte a tiro di schioppo, da mare a mare a giro di boa: una terra fatta d’amore, una terra da amare. Per questo, leggendo il libro del prof. Restuccia, di Ciccio Restuccia come ama farsi chiamare, mi è sembrato di tornare indietro nel tempo, nella memoria, e ho sentito mia la collina aspra e scoscesa dello scrittore. Una collina d’altri tempi, come tante allora contornate da fichidindia, da maceri e da sipali. Ammantate da bianchi fiori di mandorli, di progetti, e di sogni.
Io non so quanti hanno letto La collina dei sogni di Restuccia (è destino dei nostri scrittori, non supportati da adeguata promozione e da grandi editori, avere pochi lettori), io l’ho letto come in un soffio, come un sorso d’acqua rigenerante. E come un leggero soffio di vento che asciuga il sudore e la fatica, come un sorso d’acqua che rinfresca e ristora, così questo piccolo libro è passato su di me rinfrescando la memoria, riportandomi indietro con gli anni nella storia. Non l’ho letto con nostalgia del passato, ma la sua lettura mi ha fatto rivivere momenti del passato. Un passato che per un’intera generazione, come la mia, che ha attraversato il Sessantotto, con le sue lotte, le sue ansie, i suoi sogni, ha rappresentato un momento di rottura fra il vecchio e il nuovo.
Non so se qualcuno ci ha pensato, ma in orografia la collina è la via di mezzo fra la piatta pianura e l’alta montagna. Simbolicamente abbiamo: pianura – collina – montagna, dove la pianura rappresenta il passato, la collina il presente, la montagna il futuro. Per seguire, invece, un po’ da vicino il padre Dante, la pianura metaforicamente potrebbe simboleggiare l’Inferno, la collina il Purgatorio, la montagna il Paradiso. Per cui nell’uniformità della pianura = passato = rassegnazione segue la collina = presente = speranza, dalla quale si stacca maestosa la montagna = futuro = sogno. Con metafora dantesca possiamo riassumere: dannazione, peccato, punizione eterna; penitenza, purificazione, perdono; gioia, felicità, estasi divina.
Certo, non a questo ha pensato l’A. durante la stesura del suo libro, ma alla sua terra e alla gente di Calabria in un periodo storicamente ben delineato a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta quando l’Italia, uscita prostrata, distrutta e sconfitta dalla guerra, prende forza, coraggio e dignità per ritrovare se stessa, per rinnovare se stessa, per guardare avanti scrollandosi il peso di un triste e doloroso passato consegnandolo definitivamente alla storia. È il periodo dell’emigrazione, del miracolo italiano, della ricostruzione, della speranza, dei sogni, e l’A. riassume ottimamente quegli anni in un romanzo, breve di contenuto ma ricco nei temi, dove mette a confronto tre generazioni diverse nei personaggi protagonisti con le loro caratteristiche, le loro ansie, le loro paure in una lotta intensa e quotidiana per uscire dal passato, per superare il presente, per andare al futuro, rappresentate dal nonno Peppe Frischi, dal padre massaro Antonio, dai figli Marianna e Michele in una unione di volontà e di intenti che li rende un tutt’uno in ogni vicenda narrata dove uomo e natura si legano insieme abbarbicandosi alla terra come erba gramigna in un legame indissolubile ed eterno.
L’A. è riuscito nel suo intento: ha capito i tempi, tempi di passaggio, di transizione e li ha rappresentati al meglio in ogni scena narrata con scrittura fatta alla vecchia maniera, attenta, meticolosa, precisa, come si faceva una volta sui banchi di scuola. Non trascura nulla, non dimentica nulla, e i personaggi, ognuno per la parte che gli è stata assegnata, rispondono bene al richiamo dello scrittore ubbidienti al suo comando, pronti a realizzare ciò che lui vuole.
Non sta a me dire del contenuto del libro o fare un sunto scolastico per il lettore svogliato, ma voglio dire e sottolineare che La collina dei sogni è un romanzo con forti connotazioni economico-sociali con uno sguardo alla storia che fa da sottofondo e non invade mai. È il romanzo dell’uomo che, stando nel presente, si stacca dal passato per giungere al futuro. Un futuro nuovo, diverso, migliore. Un futuro che non è solo sogno, ma realtà. Realtà costruita col lavoro, con fatica, con sudore. E con amore, con tanto amore.
Grazie, professore. Tornerò presto, in punta di piedi, sul vostro tempo e parleremo del futuro.
Tropea, 27 maggio 2014
Pasquale De Luca