Dedicata a mio padre. Uomo dotato di sensibilità nascosta. Poco versato a dispensare carezze ai figli per tutelare la sua immagine autoritaria, ma di animo buono e sincero. Il suo affetto per la famiglia lo ha dimostrato sempre con il suo impegno a sostenerla; lavorando con forte senso di responsabilità ed affogando la sua dolcezza proprio per amore della stessa.
Manca da trent’anni. Lo ricordo nel giorno di San Giuseppe: il giorno dedicato a tutti i papà. Da piccola non lo amavo molto per il suo carattere duro e poco affettuoso. Oggi desidero dirgli le parole che non gli ho mai detto, ma che neanche lui mi ha mai detto: “Ti voglio bene”.
Le sue mani
Nel ricordo di un’immagine sfocata,
io rivedo quel visino di bambina,
che sorride con lo sguardo affascinato
e si leva al primo sole del mattino.
E rivedo ancor la terra che l’accolse,
quella terra dei suoi giochi spensierati,
che mi appare nell’immagine sfocata
nel ricordo mio serbato di bambina.
Quanti fiori io rivedo e quante luci,
i profumi delle sere mie d’estate,
quanti suoni e quante voci gracidanti:
eran grilli, rane e lucciole volanti.
Le cicale che cantavano d’estate,
le farfalle svolazzanti colorate
e l’odore di quell’erba già dorata,
io ricordo di quei giorni belli, andati.
E poi vedo: la mia scuola e le maestre;
i compagni miei di classe, abbandonati;
quegli studi, nelle ore intercalate,
tra le fasce che ruotavano legate.
Vorticose nella mente mi ritornano:
quelle ombre di sorrisi appannati,
neri come delle strisce avvelenate,
che rubavano i miei canti riservati.
E ricordo ancor mio padre e le sue ire
e mia madre, sempre muta, andava avanti.
Quegl’istanti, li fermai nella mia mente,
e li porto dentro me con cuore stanco.
Quanti giorni mi ritornano alla mente:
quelli caldi delle estati ormai passate,
quelli freddi degli inverni riscaldati
col braciere di tizzoni consumati.
Quelle braci dentro il rame nella ruota
raccoglievano la nonna e noi piccini
e la nonna raccontava… raccontava…
e mia madre quelle fiabe riportava.
La mia casa io ricordo di bambina,
i binari ed i treni, lì passanti,
dentro il tunnel poi sparivano sbuffanti
e portavano le merci ed i viaggianti.
E mio padre lavorava e camminava,
sulla via del treno sempre procedeva:
sbullonava, avvitava e ripianava
quei binari dove il treno ripassava.
Lavorava e si stremava di fatiche,
con coraggio le portava sulle spalle,
e mi affaccio dentro me sempre a cercare
le sue mani grandi e forti da afferrare.
Poi le vedo, con quegli occhi della Mente
che mi guida nella via da rovistare,
io gli tendo le mie mani piccoline
lui le stringe, mi sorride e dice: avanti!
Carmelina Petullà
carmelina compilimento per tua poesia com poche parole ai scritto tutto come sono il papa calabrese perche io o passato lo stesso de uno militisi che emigrato per brasile da piccolo e fa 55 anni che abito in san paulo-brasile
Grazie Mario per i tuoi complimenti, sei molto gentile. Un affettuoso saluto dall’Italia e dalla Calabria in particolare.
Carmelina
Una dedica particolare e molto profonda da cui traspare un affetto ed un attaccamento personale, quasi “nascosto”, di quanto si è vissuto.
Molto apprezzata.