I libri del prof De Luca secondo Rosellina De Lorenzo
Caro Pasquale, anche se non ci siamo mai visti dal tempo del liceo, tuttavia quando ti ho incontrato, al di là delle rughe che segnano visibilmente il tempo che passa, ho notato lo stesso sguardo luminoso e curioso di adolescente che desiderava conoscere le cose e le persone. Ora, dopo aver letto e assaporato le tue opere, che gentilmente mi hai donato, ho piacere di inviarti qualche mia riflessione.
E’ evidente che in esse esprimi la tua identità conquistata con l’amore, la sofferenza, il coraggio, la fede, la cultura e la speranza. Ti ringrazio per avermi permesso di conoscere la tua persona così forte e genuina.
Il tuo io, nei versi corposi poeticamente elaborati, si riveste nella prosa con abito modellato sulla struttura del romanzo, intessuto di accorati accenti poetici.
Infatti “La terra di Filomena” è una prosa lirica, che il lettore gusta man mano che con avidità si nutre delle sue pagine.
Il clima storico ed esistenziale da cui nasce il libro ne fanno un romanzo-storico, nel quale sapientemente si incrociano macrostoria e microstoria, verità e finzione a tal punto da offrire un quadro vivente della società del piccolo paese calabrese nell’ultimo scorcio della II guerra mondiale.
La protagonista Filomena assurge a simbolo della donna eroica calabrese, che non si arrende di fronte alle tragedie e traversie della vita, ma combatte sempre con testa alta e con grande coraggio e caparbietà. La sua terra, che forma un tutt’uno con se stessa, è tempio all’aria aperta di una dirittura etica forte quanto la fede. A questo personaggio appassionato ed epico, presentato a tutto tondo, si consegna il messaggio del romanzo. Ella di fronte ai numerosi personaggi corali e non, portatori di positività o negatività, si erge statuaria, emblema di valori ancestrali quanto veri. Il lettore si avvicina all’altare di Filomena e della sua terra con atteggiamento sacrale, a tal punto che la sua compartecipazione, man mano che la lettura procede, va aumentando fino a farlo sentire parte di quel mondo arcaico e genuino.
Il linguaggio usato nel romanzo ha il sapore della nenia, le ripetizioni delle frasi a ritmo serrato fungono da cantilena che culla sull’onda degli eventi. Così avviene l’iniziazione del lettore, che, anche lui orante, si scopre affascinato dalla “magia” della devozione alla Madonna della Romania. Ciò avviene perché l’Autore è riuscito a rivestire la sua profonda fede con la religiosità antica, intrisa di quella superstizione che riesce a legare “miracolosamente” numerosi eventi all’intervento divino.
Le frasi e le parole in dialetto tropeano non sono banalizzazioni e non esprimono compiacimento linguistico o folkloristico come si riscontra in molta produzione prosastica contemporanea, ma altresì sono spontanee e autentiche emanazioni del vissuto dell’Autore. La lingua che si porta dentro lo contiene in sé come il mondo più esclusivo del ventre materno. Come afferma Pasolini in “Dialetto e poesia popolare”, è “il contadino che parla il suo dialetto ed è padrone di tutta la sua realtà”. Nelle espressioni dialettali dunque si deve leggere la sopravvivenza di ciò che è ancora puro e incontaminato e non semplici rappresentazioni realistiche e documentarie di concrete situazioni sociali come era proprio della letteratura di denuncia naturalistica o come il verismo o il neorealismo o il post-realismo, ma sono pagine che propongono verità assolute in un clima mitico. Perciò è chiaro come le battute elementari, le continue e ossessive ripetizioni e anafore conferiscono al discorso un tono ieratico e sapienziale.
Colpisce nella lettura del romanzo la dimensione culturale dell’Autore, fruitore sapiente dei nostri padri della narrativa, infatti con intelligenza e onestà intellettuale ha assorbito la lezione dei “grandi” ri-creando in piena autonomia e consapevolezza la poetica del vero. C’è chi può ritrovarvi Manzoni, chi Verga, chi Vittorini, chi più ne ha più ne metta, ma la verità è che gli scritti di Pasquale De Luca sono tutti suoi nella loro singolarità e plasticità di espressione artistica.
Anche nel romanzo “I figli di Filomena” l’Autore continua a narrare non seduto a tavolino ma “vivendo” le vicende, le “sue” vicende dove la bontà e la generosità si intersecano con i soprusi e la cattiveria in una dimensione anche qui di coralità anche se in un contesto storico mutato: sono gli anni del dopoguerra, gli anni della ricostruzione e del movimento studentesco del ’68, e anche qui gli eventi locali risentono della macrostoria. Non campeggia più la figura del protagonista principale, perché numerosi sono i personaggi che assumono il ruolo di protagonisti nei capitoli a loro dedicati.
La fatica del vivere continua inesorabile, le tragedie non mancano, il progresso coinvolge, ma non in senso negativo, in quanto è vissuto come input per andare avanti con la forza delle idee. I personaggi, le situazioni, gli eventi non hanno più le dimensioni mitiche del primo romanzo, ma il linguaggio oracolare permane anche se non dominante, quasi a voler sottolineare che mentre “La terra di Filomena” è un altare alla madre e alla terra, questo è un altare a quanto ereditato di sacro, è il riverbero della forza eroica, è monito ad aprire la via verso il futuro.
Rosellina De Lorenzo
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